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Scoperte, invenzioni, record
e avvenimenti importanti che
hanno segnato il XX Secolo |
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Finestre fotografiche
su Liguria e Toscana |
GENOVA |
Il
capoluogo della Liguria
ha il centro storico più grande
d'Europa. Nel 2004 è stata la
"Capitale Europea della Cultura"... |
EUROFLORA |
In
primavera, ogni 5 anni,
alla Fiera di Genova va in scena
lo spettacolo dei fiori per eccellenza.
I giardini più belli del mondo... |
VIA FRANCIGENA |
Col
Giubileo del 2000 è stata
definitivamente rivalutata
la via di Sigerico, che i pellegrini
percorrevano a piedi fino a Roma,
in segno di pentimento... |
PARCO DEL MAGRA |
A
Gennaio 2008 il Parco Naturale
Regionale del Magra è il territorio
eco-certificato più esteso d'Europa... |
GOLFO DELLA SPEZIA |
Tra la punta
di Portovenere e il Capo Corvo si apre una delle più
profonde insenature di tutto il litorale occidentale
italiano, declamata nei versi di illustri poeti e nella
quale è incastonata La Spezia, città sede di porto
militare e mercantile, che oggi è anche punto di
attracco per le navi da crociera... |
LE CINQUE TERRE |
Cinque
borghi marinari il cui destino è sempre stato
storicamente legato alla terra e all'agricoltura
piuttosto che alla pesca. Un paradiso naturale della
Liguria che nel 1997 è stato inserito dall'UNESCO tra i
Patrimoni Mondiali dell'Umanità... |
LA VAL DI MAGRA |
Nobili,
vescovi, mercanti e pellegrini
lungo l'asse della Via Francigena.
Culture differenti per storia e tradizioni,
nei secoli, si sono sovrapposte
e hanno permeato il territorio con
i segni del loro passaggio... |
LA VAL DI VARA |
La
"Valle dei borghi rotondi"
è anche conosciuta come
la "Valle del biologico" per le sue
produzioni agricole ottenute con
metodi antichi e naturali.
Varese Ligure nel 1999 è stato il
1° comune ecologico d'Europa... |
LA LUNIGIANA |
La
"Terra della Luna", in Italia,
ha la più alta concentrazione di
antichi castelli. Se ne contano
circa 160. Alcuni sono bellissimi e perfettamente
conservati... |
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Close Up |
Argomenti
del sito in primo piano,
eventi, news e storia del territorio |
Le Alpi Apuane
Originano da movimenti
tettonici del fondo marino
e sono un "monumento
geologico" unico al mondo... |
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Liguri Apuani e Statue Stele
Le radici più profonde delle
comunità lunigianesi affondano
fino alle soglie della protostoria.
Mari e monti un tempo erano
occupati dalla bellicosa
popolazione dei Liguri Apuani... |
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Carta della Lunigiana Storica
Una cartina con note mostra il
territorio, un tempo abitato dai
bellicosi Liguri Apuani, da dove
parte questo sito... |
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Antiche ricette in Lunigiana
Piatti prelibati di
una cucina essenziale, ma non per questo meno saporita. Cibi dal
sapore antico che tornano ad imbandire le nostre tavole dopo
essere stati riscoperti a nuova vita. |
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Ferrovia Aulla-Lucca
Il
fascino dei treni d'epoca
e delle locomotive a vapore |
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Ferrovia Pontremolese
Una
linea di vitale importanza
per La Spezia e la Lunigiana |
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Ex
Ceramica Vaccari
Il comprensorio
della fabbrica è un prezioso esempio di civiltà industriale di
fine Ottocento e rappresenta un pezzo di storia fondamentale per
Santo Stefano Magra e per tutta la Provincia della Spezia. Le
aree recuperate vengono oggi dedicate all'arte, allo spettacolo,
alla cultura... |
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Il dialetto genovese
Le trasformazioni
fonetiche avvenute nella parlata di Genova sono un segno
inequivocabile del dinamismo espresso dalla città durante i
secoli della Repubblica. A Genova il dialetto è una lingua viva,
che oggi viene insegnata anche nelle scuole... |
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Infiorate del Corpus Domini
"Per tetto un cielo di stelle e
per strada un tappeto di fiori...".
A Brugnato, ogni anno, giovani e
meno giovani si radunano nel
centro storico per abbellire strade
e piazze con disegni floreali,
secondo un'antica tradizione che
origina da un miracolo
avvenuto a Bolsena... |
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Mezzi da lavoro storici
I raduni e le
esposizioni di questi autoveicoli sono un modo per ricordare ed
onorare le persone che, in passato, questi mezzi li hanno
guidati per mestiere... |
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Mezzi militari storici
I più celebri
veicoli militari che hanno partecipato alle vicende della
Seconda Guerra Mondiale sfilano per strade e piazze e mantengono
vivo il ricordo di quei terribili giorni... |
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INDICE GENERALE
'800
01
02
03
04
CRONACA
SPORT GIRO
TOUR
CICLISMO
ALTRI
FAUSTO COPPI
INTER
RIVISTE |
GIUGNO 1882 -
A Caprera si spegne Giuseppe Garibaldi, l'eroe dei due mondi |
Con la morte di Giuseppe Garibaldi (che con Cavour e Vittorio Emanuele II
formava la triade degli uomini che avevano costruito il regno
d'Italia), si chiude il primo capitolo della storia del nostro paese.
Alto, forte, con i capelli biondi e gli occhi azzurri,
sorridente sempre, Garibaldi fu il Dio liberatore per le
popolazioni oppresse. Passò tra il popolo delirante
d'entusiasmo, tra l'idolatria e le acclamazioni; oggi tra i
fiori, domani nella mischia; tranquillo a Caprera, indomito e
fremente sui campi dell'onore.
Visse gli ultimi anni a Caprera, ove morì il 2 giugno 1882,
semplice, modesto, ricusando onori e offerte, pago |
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di aver dedicato tutta la sua vita alla grandezza dell'Italia.
I servizi d'informazione dei giornali erano - dati i tempi - molto
limitati e, proprio in occasione della morte di Garibaldi, fu
fatto ricorso al telegrafo in modo eccezionale. Sulla
prima pagina del 5 giugno, dedicata all'avvenimento, il
Corriere della Sera così scrive:
"Mercoledì si chiusero le piaghe alle mani di Garibaldi. Il
medico del piroscafo «Cariddi» s'inquietò. Poi gli si chiuse la
gola e si dovette nutrirlo artificialmente. Giovedì, sentendosi
morire, fece allontanare i figli onde non addolorarli. Venerdì,
contrariamente alle prescrizioni del medico, volle fare un bagno
freddo. I suffumigi lo liberarono alquanto dal catarro, ma dopo
le undici agonizzò. Pronunciò pochissime parole".
Qualche giorno dopo, il 9 giugno, il giornale riporta
un'altra notizia:
"Ieri i medici, eseguendo le iniezioni per arrestare la
decomposizione del cadavere, trovarono sul corpo del generale
numerose ferite. Le più visibili sono: quella avuta in America
al combattimento navale di San Gregorio, dovuta ad una palla che
gli traforò il collo; una causata pure da palla, |
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all'addome interessante il fegato; altre due ferite da armi da
fuoco al ginocchio e al collo del piede: quest'ultima l'ebbe ad
Aspromonte. Le ferite d'arma bianca non si contano".
Garibaldi voleva essere cremato e aveva dato disposizioni
minutissime. Ma la notizia della progettata cremazione,
diffusa anche dal Corriere della Sera, provoca una vera e
propria alzata di scudi: i radicali e la sinistra sono i primi a
chiedere che il generale venga sepolto con le esequie ufficiali
perché il suo corpo appartiene all'Italia e ai garibaldini.
L'8 giugno Garibaldi viene inumato nel giardino della sua casa
di fronte al mare. Re Umberto non è presente: ha inviato a
rappresentarlo il principe Tommasi. Si sta stipulando
segretamente la «triplice» e l'assenza del re è fortemente
criticata. A complicare le cose c'è l'arresto a Ronchi
dell'irredentista Guglielmo Oberdan che viene condannato a morte
dal supremo tribunale di Vienna (verrà giustiziato il 20
dicembre). Divampano le polemiche. Il giornalista Michele
Torraca, che pur aveva combattuto a Mentana, si dichiara
contrario all'irredentismo. Altri gli rispondono duramente.
Della «triplice» e delle sue clausole si saprà qualcosa
solamente vent'anni più tardi. Le difficoltà per Umberto sono
grosse perché divampano ancora le passioni risorgimentali.
Ma ormai è finita un'epoca. Garibaldi riposa sullo scoglio di
Caprera...
Ecco un di lui elogio nelle parole di Giosuè Carducci,
pronunciate in un mirabile discorso improvvisato al teatro di
Bologna: "Ma ogni giorno, il sole, quando si leva sulle Alpi
fra le nebbie del mattino fumanti e cade tra i vapori del
crepuscolo, disegna tra gli abeti e i larici una grande ombra,
che ha rossa la veste e bionda la cappelliera errante su i venti
e sereno lo sguardo siccome il cielo. Il pastore straniero
guarda ammirato, e dice ai suoi figliuoli: «E' l'Eroe
d'Italia che veglia sulle Alpi della sua Patria»". |
Ritratto di Giuseppe Garibaldi ad opera del letterato
combattente Anton Giulio Barrili |
Niente, nella natura
umana, era più acconcio a innamorare le genti. Vedete l'uomo:
statura forse mediocre (pari a quella di tanti fascinatori
dell'umanità), che sembra conciliare l'affetto nella
uguaglianza, e certamente attrae i fanciulli e li invita
all'abbraccio. Bionda e diffusa la barba, bionde le anella
de' capelli ricadenti sul collo bianchissimo; alta la
fronte, eretto il cranio come se lo avesse sollevato il ribollir
continuo del sangue e più quello di un gran pensiero.
Noterò di passata come egli tenesse volentieri sulla testa il
cappello, che si alzava |
scoprendo
la fronte nelle ore serene, si calava sul sopracciglio
aggrondato, nelle ore meditabonde... Fiera l'impronta del viso,
leonina; ma l'occhio fosforescente nella concitazione del comando,
azzurreggiava limpido nella calma, accordandosi alla gravità
dell'eloquio, alla melodia dell'accento. Che parlata era la sua?
Una musica mista di certa austerità romana, con mollezze americane.
Scandiva le frasi con lievissime pause, che dovevano trovare un
segno ritmico perfino nella sua scrittura; ma proferiva sempre
intera la parola, come non fa il genovese in terra, quando gli
giova spogliare di consonanti le sillabe, ma come fa sempre il
genovese sul mare, quando vuol farsi udire dai suoi uomini, in
mezzo al fragore dei marosi, al sibilo dei venti, al cigolio
delle sartie.
Chi ha sentito Giuseppe Garibaldi, intende assai
meglio che io non dico; e più ancora intende la soavità dei
modi, la delicatezza dei sentimenti espressi...
Giunse, bello e terribile, nella patria risorta, col suo
largo cappello di feltro, il suo poncho e la sua bella sella
americana, senza cui non gli pareva di poter stare a cavallo. Ma
parliamo del suo poncho, oramai leggendario,
parliamone. Sembrò in lui amore di orpelli, desiderio di
distinguersi e non era. Nulla fu di teatrale in quell'uomo. Il
deserto gli aveva impressi i suoi caratteri indelebili; primo
fra essi l'amore della libertà in ogni cosa; sotto tutte le
forme. |
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La tunica
impaccia noi, il mantello ci lega le braccia; il poncho,
non tunica nè mantello, copre il petto di nobili
pieghe e lo scalda in pari tempo, come il sagum
dei cavalieri romani, lasciando libere le braccia al gesto del
comando, al gioco delle redini, al rotear della spada...
L'anima sua non pregiò, non conobbe mai grandezze fastose.
Sobrio, frugale nei pasti, non beveva vino, pure
amandolo di classico amore. Poche vivande gli andavano a grado,
quelle in ispecie del marinaio genovese. E dei nostri
concittadini, in campo, amava esser ospite, come Augusto de'
propri, anche al colmo della potestà imperiale. Belle mense, nei
rustici casolari, o sulla proda del sentiero, quando il Generale
assaggiava la zuppa, qualche volta il brodetto nero del
carabiniere genovese!
Quanto al pane, si e nò. Sul Monte Sacro, davanti a Roma,
dopo un'ora di epiche sfide, si sedette sul verde per mangiare
un boccone. Il suo pasto era un pezzo di carne rifredda, involta
in un vecchio giornale. Ne offerse cortesemente ai suoi uomini:
"Grazie, Generale" risposero. E lui: "Senza
complimenti, via". Uno della comitiva osservò: "E anche
senza pane, Generale". Garibaldi allora precisò: "Ah!
sì, ricordo che voialtri avete sempre bisogno di pane; in
America, un pezzo di carne infilzata nella baionetta, da
arrostirsi alla prima fermata, era il viatico del legionario".
Il suo uomo osservò: "Si Generale, ma noi siamo in Italia,
nel Lazio". Garibaldi allora chiese: "Che cosa vuol dire?".
La risposta fu: "Che Cerere è Dea Latina". L'accenno
classico lo vinse; sorrise e concluse: "Avete ragione!",
la sua frase abituale... |
Sintesi e adattamento da:
- "Almanacco Regionale della Liguria" (G.Fracchia - 1925)
- Editore G.B. Paravia & C.
- "CENTO ANNI dal Corriere della Sera"
- supplemento al giornale del 13 ottobre 1976 |
Un barcaiolo genovese racconta come si svolsero i preparativi
per la partenza dei Mille |
"In occasione
della memorabile spedizione dei Mille dallo scoglio di
Quarto, avanzò al Ponte Reale in Genova tale sig.
Profumo e, rivoltosi ai presenti - tutti barcaioli - faceva
caldo invito se ci fossero volenterosi per prestare patrio
servizio, e recarsi a bordo di un vecchio bastimento in disarmo
che serviva da magazzeno, all'epoca ormeggiato al Molo
Vecchio. Si trattava di ritirare da detto bastimento colli
di vestiario, destinati per la spedizione dei Mille, e portarli
a bordo dei piroscafi Lombardo e Piemonte che
avrebbero trasportato i Garibaldini. L'imbarco dei vestiari lo
effettuammo verso le dieci di sera.
Compiuto questo, ricevemmo l'ordine di trovarci verso la
mezzanotte sotto la batteria della Darsena per
disormeggiare i due suddetti vapori. All'ora stabilita eravamo
pronti al nostro posto, ma una sola delle imbarcazioni si
trovava in grado di lasciare gli ormeggi...
Passarono altre due ore e ancora non si poteva rilasciare
l'altro bastimento. In questo tramite di tempo, troppo prezioso,
giunse da Quarto il generale Garibaldi. Immediatamente
diede l'ordine del disormeggio del vapore, ordinando nello
stesso tempo che quello pronto prendesse a rimorchio il
ritardatario, onde arrivare nella acque di Quarto il più presto
possibile.
Dopo vari giorni dal servizio prestato per l'imbarco dei
vestiari e del disormeggio dei suddetti vapori, partì la
seconda spedizione. Imbarcammo i Garibaldini a Sestri,
precisamente alle spalle del Castello Raggio.
Stante la mia avanzata età non preciso date, ma c'è stata epoca
che nel porto di Genova esisteva una squadra di provetti
barcaioli, iscritti e dipendenti dalla locale Capitaneria di
Porto. Ad ogni chiamata di naufraghi eravamo obbligati a
prestare il nostro valido aiuto. Di questa mia asserzione se ne
potrà facilmente trovare traccia nelle carte antiche della
Capitaneria le quali possono in verità anche indicare nel
sottoscritto il più vecchio barcaiolo del Porto di Genova, che
in vari momenti - sia per la patria che per i salvataggi - ha
sempre risposto prontamente alle chiamate". |
Sintesi e
adattamento da "IL SECOLO XIX" del 5 maggio 1910 -
Questa lettera venne
inviata al giornale dal sig. Cabona Pietro, fu Pietro. All'epoca
aveva 76 anni e per 60 aveva prestato servizio attivo nel Porto
di Genova. |
Uno scritto di Giovanni Pascoli ripropone le gesta
dell'armata dei Mille e del loro Duce |
"L'eroe teneva
a spall'arm la sciabola, come per deporla. Le onde sussurravano
ai suoi piedi. Scintillavano i fuochi del cielo sul suo capo. Il
vento agitava il mantello delle sue galoppate americane. Dietro
lui e intorno a lui era uno scalpiccio incessante. Era
l'esercito suo impaziente che batteva e strisciava i piedi sulla
spiaggia, come i cavalli delle Pampe non ferrati. In tutti era
la coscienza della grande impresa. Non era di mira un'isola, un
regno, un re; ma il mondo... A che pensavano nella lunga e mal
sofferta aspettazione?
Era il cinque maggio ancor per poco. Le stelle erano già a mezzo
il loro tacito scivolio. Chi non pensò che era l'anniversario
della morte di Napoleone? Dice uno dei volontari, quegli che
incise colla punta della spada le sue memorie garibaldine.
Napoleone, a quell'ora, giaceva freddo e immobile da dodici ore
sul suo letto da campo.
Gli alisei sibillavano nella trista isola delle nubi. Egli si
era raccolto nella sua ultima visione. Aveva veduto sè sul suo
cavallo bianco, alla testa di un esercito innumerabile e
invincibile. L'ultimo, e forse il più grande imperatore latino
marciava verso l'oriente, era stato vinto, tradito e preso
Cesare: si svegliava Alessandro. Il sogno che aveva sognato
avanti gli occhi fissi della Sfinge di granito, ora diventava
realtà.
Colonne infinite d'uomini parlanti tutte le lingue d'Europa
s'irradiavano attorno al piccolo e pallido Corso meditante sul
suo cavallo bianco. Un immenso calpestio lo seguiva, lo
precedeva, lo circondava. Cigolar di ruote, tonar di carriaggi,
ballonzar d'affusti, ringhiar di cavalli, barrir d'elefanti.
Egli disse: "Téte... armée...". E spirò nella sua marcia
oltreumana.
Sono dodici ore. L'eroe latino è sullo scoglio avanti il cielo e
il mare. Ode scalpicciare intorno a sè. E' l'armata di cui egli
è alla testa, per la conquista dell'impero universale del
Diritto. Di lì a poco, a bordo del vapore che ve lo deve
condurre, chiede "Quanto siamo in tutti?" - "Coi
marinai siam più di mille!" - "Eh! Eh! Quanta gente!".
E s'intese da tutti la sua voce tranquilla soave alta: "Avanti!". |
Estratto da "IL
SECOLO XIX" del 5 maggio 1910
- L'articolo del grande poeta italiano fu scritto in occasione
del cinquantenario della spedizione dei Mille. |
La Spezia, città amica, che conserva tanti ricordi
delle imprese leggendarie di Garibaldi |
Ovunque, in terra spezzina, Garibaldi è
ricordato da monumenti, busti, lapidi, cimèli, perché molti
furono i legami tra La Spezia e l'Eroe dei Due Mondi. Nel
settembre del 1849, il Generale era in fuga - braccato come un
bandito - dalla Romagna, dopo la disperata difesa della
Repubblica Romana e poi la morte di Anita. Riuscì a raggiungere
segretamente l'ospitale Maremma, aiutato dai generosi patrioti
toscani, e venne portato in salvo da un intrepido marinaio di
San Terenzo, Paolo Azzarini, il quale lo traghettò con la sua
barca a vela da Cala Martina a Portovenere (vedi
lapide a ricordo dell'evento). Un gozzo lo portò in
seguito alla Spezia, dove fu ospite di Girolamo Federici, e di
li proseguì verso Chiavari tramite una carrozza.
Altre sfortunate circostanze condussero Garibaldi alla Spezia
nel 1862 e nel 1867. Nel '62, dopo lo scontro e la ferita di
Aspromonte, il Generale fu tenuto prigioniero per quasi due mesi
(dalla fine di agosto al 22 d'ottobre) al Varignano, e visitato
da diversi chirurghi; la ferita riportata alla gamba sinistra
era in via di guarigione, ma l'illustre prigioniero soffriva
molto per la pallottola che gli era rimasta conficcata nel piede
destro, e che i medici tentavano inutilmente di estrarre.
Liberato dal carcere del Varignano, Garibaldi fu ospite
dell'Hotel de la ville de Milan, che poi lasciò per raggiungere
Pisa (dove un chirurgo estrasse finalmente l'ostinato
proiettile) e quindi l'amata Caprera.
Nel 1867, dopo Mentana, Garibaldi fu arrestato sul treno a
Figline Valdarno e portato nuovamente al Varignano, dove fu
trattenuto per tre settimane. Gli spezzini lo accolsero con una
dimostrazione di affetto e d'entusiasmo, come è ricordato da una
lapide |
apposta sulla
facciata del palazzo che, un tempo, fu l'albergo «Croce di Malta»
e poi sede del Banco di Napoli: "Qui
prigioniero - dopo Mentana giunse - ma libero - per volere di
popolo sostò - il 5 novembre 1867 - Giuseppe Garibaldi ■ La
democrazia della Spezia - che già lo accolse - ferito dopo
l'Aspromonte - nel primo centenario della sua nascita -
riafferma - l'entusiasmo e la fede - della vigilia".
Ora il duce dei Mille è in mezzo al verde dei giardini, dove nel
giugno 1913 fu eretto, su progetto dello scultore Antonio Garella, l'imponente
monumento equestre (vedi foto a destra). La statua, per la quale furono
impiegati 60 quintali di bronzo, poggia sopra un basamento di
pietra del Romito a forma di scoglio. Il Generale, in sella al suo focoso
cavallo e con la spada sguainata, guarda la città che gli fu
sempre amica, e che ha conservato tanti ricordi delle sue
imprese leggendarie. Altri ricordi sono anche a Lerici, che fu
un vero covo di garibaldini. |
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Il territorio spezzino dette dieci volontari alla spedizione
dei «Mille», e centodieci alle altre campagne garibaldine.
Numerosi, tra questi volontari, furono i sarzanesi,
come fu ricordato in una mostra allestita nel Palazzo Civico di
Sarzana nel 1959. In quell'evento furono rievocati in un
manifesto i nomi dei volontari che presero parte alla difesa
della Repubblica Romana, alla spedizione dei «Mille», alle
campagne del 1859, 1860 e 1866. Nell'elenco figurava, tra gli
altri, Luigi Nicola Spadaccini - detto popolarmente «Magnino» -
che morì in tardissima età nel 1910. Questo ultimo garibaldino
era noto per le sue battute ironiche e saporite: "Ghe vuresse er
Duca de Modena..." (ci vorrebbe il Duca di Modena) era solito
dire quando le cose andavano male. |
A Sarzana un imponente
monumento ricorda il più nobile eroe del risorgimento |
Nella città di Sarzana
non ci sono molti monumenti ma, in compenso, ne fu eretto uno
che figura tra i più imponenti del mondo. Parliamo del monumento
a Giuseppe Garibaldi, elevato nella piazza omonima ed intitolato
"Il genio della stirpe". L'opera si deve a
Carlo Fontana, uno
dei grandi maestri della nostra scultura, autore di innumerevoli
lavori che oggi nobilitano pubbliche piazze o che sono
conservate in importanti musei.
La statua, ricavata da un blocco di marmo delle cave di Carrara,
raffigura un giovane gigante che appoggia il possente braccio su
di un grande scudo nel quale è scolpito il volto di Garibaldi,
a simboleggiare il popolo italiano che guarda all'avvenire,
protetto dal più nobile eroe dell'epoca risorgimentale, dal più
popolare condottiero delle guerre d'indipendenza.
La base del monumento è costituita da un monolito di quattro
metri di altezza per due di base, tratto dalle alte cime della
cava di Gioia. L'opera fu concepita nel 1907, realizzata negli
anni seguenti ed inaugurata nel maggio del 1914. Il memorabile
traino da Carrara a Sarzana del colossale e pesantissimo blocco
monolitico costituente la base del monumento venne effettuato
con l'utilizzo di numerose coppie di buoi.
Una grande folla assistette all'arrivo del monolito a alla sua
messa in opera. Per sollevare il "Genio della stirpe" e
collocarlo sopra la base venne ideata una complessa impalcatura
in legno alla quale erano collegate varie funi e carrucole. |
Da "LA NAZIONE" - Album della
Spezia
- a cura di Giorgio Batini
(Edizioni dal 1974 al 1983) |
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